Ricordo la grande cucina economica dove la nonna tutte le settimane preparava la polenta: non andavo ancora a scuola e spesso nemmeno all'asilo perchè cagionevole di salute, potevo quindi assistere all'operazione di persona. Mentre il nonno mi sbucciava una mela e me la tagliava in spicchietti con il suo coltellino, la nonna appoggiava sul tavolo un gonfio sacchetto impolverato, pieno di farina gialla, dallo sgabuzzino prendeva un grosso paiolo di rame che riempiva d'acqua e poi, prima di iniziare, toglieva con circospezione a uno a uno i cerchi di metallo della cucina economica a legna e quando si intravvedeva il fuoco che ardeva sotto, appoggiava il paiolo e lasciava che le rosse fiamme ne lambissero il fondo.
Quando l'acqua cominciava a bollire si ripeteva immutato il rito quasi magico ai miei occhi, compiuto con gesti di grande sapienza ed oculatezza nel versare e rimescolare a lungo con il grande mestolo di legno. Ci voleva molta forza e tutti in casa davano una mano alternandosi ai fornelli, la nonna, il nonno e Norina, la piccola e anziana domestica, divenuta ormai un membro della famiglia.
Quando finalmente la polenta si staccava dalle pareti, era pronta e spargeva per tutta casa il suo profumo.
Il nonno andava a prendere il grande tagliere rotondo di legno su cui si versava lentamente la polenta. A questo punto bisognava lasciarla riposare, mantenendola calda. Era abitudine coprirla con uno strofinaccio da cucina e riporla sotto al cuscino della poltroncina di vimini preferita dalla nonna, quella vicino alla finestra, dove lei durante il pomeriggio si sedeva per leggere il giornale o le sue riviste. Questo fatto era chiaramente noto a tutti, ma nel breve tempo che intercorreva dal posizionamento del tagliere e il pranzo, tutti noi provavamo almeno una volta a sederci proprio lì, non apposta certo, provocando strilli indescrivibili e frasi del tipo: " .... ma sito matti, ghe sè a poenta!!!" A me spettavano "le croste" che venivano staccate dal paiolo e che mangiavo calde e croccanti.
Ricordo che la si mangiava in modo diverso ogni volta, con il formaggio, con lo spezzatino, con il baccalà, con le "luganeghe" (salsicce) o semplicemente con "el tocio" il sugo rosso, ma era sempre uguale il modo di tagliarla. E questo era compito della nonna, il capo indiscusso della famiglia. Lei utilizzava un lungo spago di cotone che faceva passare dal basso verso l’alto per ottenere fette perfette di uguale spessore.
Ricordo pure che abbrustolita, la polenta si mangiava anche al mattino, immergendola nel latte caldo in grosse scodelle.