Quando ero piccola, trascorrevo molte estati in montagna, sull’altopiano di Asiago. Dopo Ferragosto in genere, «si rompeva il tempo» cioè cominciavano le prime piogge di fine estate e noi sapevamo che era arrivata la stagione migliore.
La stagione migliore? Penserete voi. Eh sì, quando la terra nei boschi diventa umida, ma le giornate sono ancora calde è il momento di “andar per funghi”. E questo ci piaceva molto, anzi moltissimo.
Il mattino si partiva presto e sebbene fossi assonnata, accompagnavo i miei genitori con entusiasmo. Arrivati sul posto ci addentravamo subito nel sottobosco con attenzione, cercando di non scivolare, cosa che invece mi succedeva regolarmente, ma io non protestavo. Adoravo stare in silenzio, annusare il profumo del muschio, ascoltare lo scricchiolio delle foglie sotto ai miei passi e poi c’era il vento tra gli alberi, il cinguettio degli uccelli, il gocciolio dai rami e altri suoni per me misteriosi, ma affascinanti.
È importante essere tra i primi ad arrivare nel bosco, “sentenziava papà”, i funghi crescono molto rapidamente, dove il giorno prima non si vede nulla, il giorno dopo può esserci già un bel porcino. Noi però non ce la facevamo ad alzarci all’alba, ma non tornavamo mai a casa a mani vuote, perché papà conosceva molti posti speciali che solo lui sapeva. Era il mio eroe, e finché non ero ben sveglia, o quando mi sentivo stanca, mi caricava sulle sue spalle e mi portava a spasso nel bosco, mentre la mamma, conoscendo il suo poco senso d'orientamento, cercava di memorizzare la strada del ritorno.
Dopo aver trovato un ramo solido da usare come bastone, per smuovere le foglie, o per cacciare le bisce, di cui avevo una gran paura, ero pronta per l’avventura.
Incespicavo spesso, essendo piccola, ma andavo avanti con energia e un gran desiderio di trovare da sola i miei funghi. Non portavo ancora gli occhiali, ma già i colori mi mettevano in difficoltà, “sei daltonica” mi dicevano, infatti tra le foglie ed il muschio del bosco io vedevo solo verde, tutto era verde per me. Ma quando riconoscevo un fungo, bello, grosso, in mezzo alla vegetazione, facevo salti di gioia e gridavo: “l’ho trovato, l’ho trovato”. Che emozione, meglio dei regali di Natale! In genere era un ovulo. Eh sì, a quei tempi se ne trovavano parecchi, sembravano uova sode con il tuorlo scoppiato e io li vedevo, perchè erano gialli, ma i porcini no, quelli non riuscivo a vederli. Ero convinta che quello stramaledetto Porcino facesse di tutto per non farsi trovare, si infilava nei posti più impensati, dietro a un sasso, tra i ciuffi d’erba, sotto le foglie, dentro le radici, mai comunque in bella vista. Ho sempre pensato che al porcino piacesse giocare a nascondino!
Alla fine raccoglievamo tanti funghi, perchè a quei tempi c'era solo l'imbarazzo della scelta, in paese dicevano che ce n'erano anche per chi andava a cercarli ubriaco! Pioppini, Ovoli, Porcini, Finferli, trombette da morto, mazze di tamburo, chiodini e qualche manina, poche però, perché si diceva che provocassero un bel mal di pancia e qualche corsa in bagno.
Dopo ore di ricerca e raccolta, esausti, riprendevamo soddisfatti la strada del ritorno, con il nostro cestino pieno, passavamo in Comune per il controllo e, tornando a casa, pregustavamo già la mangiata di funghi che avremmo fatto il giorno dopo.